Solitamente non si ripropongono editoriali, ma questo di oggi della NuovaSardegna é ciò che in molti pensano, pensiero che si trasforma in colpevolezza di ignoranza.
Marcello Fois ci inquadra cosí: “Non perdoniamo. “Siamo tutti colpevoli, tutti puniti” E i roghi si prenderanno tutto quello che non sappiamo e, persino, non vogliamo difendere. La tentazione, tanto per cambiare, è di trovare responsabili fuori di noi. Che siamo “brava gente”, che “quelle cose non le facciamo”, che avremmo messo la salvaguardia del territorio in cima alla lista delle nostre priorità. Tutto opinabile s’intende perché essere “brava gente” può rappresentare il lasciapassare per qualunque giustificazione”.
Anche un cittadino che circola con un’arma carica in tasca sarebbe “brava gente” secondo alcuni. Ed è “brava gente” quel padre, o madre, di famiglia che buttano una cicca rovente fuori dal finestrino dell’auto in corsa. Persino la coppia di vicini di casa che si trasformano in assassini seriali sono stati “brava gente”. E il fidanzatino rifiutato che ha dato fuoco alla sua amata?
Tutte bravissime persone.Tutte vittime delle circostanze o di un destino cinico e baro. La “brava gente” è il cancro di questa nazione. Semplicemente. È la frangia di coloro che vogliono misurare il mondo col proprio esclusivo metro. Di coloro che intendono comunità solo come sistema per accumulare diritti senza nessun dovere. Noi sardi siamo bravissima gente che sta sperperando il proprio territorio fisico e, con esso, anche quello antropologico. I nostri valori si sono fermati all’orgoglio di facciata. A quell’assunto, secondo cui, nel bestiario di questa depressa nazione noi rappresentiamo i “sardignoli”. Gli asini tenaci e mansueti, quelli che quando ti sono amici è per tutta la vita, quando ti sono nemici sono guai.
Ma siamo bestie da soma e spesso con un carico altrui. E non è un caso, badate bene, che la nostra fama ci preceda.
E che il destino di provincialità in noi sia diventato endemico, con tutto quanto si porta appresso: bisogno di trovare un senso fuori di noi, frustrazione sociale, lagnosità diffusa, impossibilità di assumersi responsabilità pubbliche. Si è periferici solo se si accetta di esserlo. Alle civiltà mature non serve il supporto di esterni per esistere. Esistono perché sono coltivate dalla culla al letto di morte. E sono coltivate capillarmente da gente che non si nasconde dietro la certezza di essere costantemente nel giusto.
Chi ha coscienza della propria fallibilità può sistemare in suo carico durante il viaggio. Chi procede con la certezza che spetti sempre ad altri controllare quel carico rischia di perderlo e, soprattutto, di dover inscenare il solito teatrino dello sconcerto.
I roghi in Sardegna sono la firma di tutta la “brava gente” da cui siamo circondati. Quella che butta frigoriferi e scaldabagno nel ciglio della provinciale; quella che abbandona sacchetti di avanzi della scampagnata in mezzo al bosco; quelle bravissime persone che accendono fuocherelli per il porcetto nel territorio demaniale, mai che organizzino gli arrosti nei loro poderi; quelle altre che ritengono la cosa pubblica una faccenda altrui e non propria: ogni regola finisce fuori dal cortile di casa propria; quella che di fronte all’ennesima catastrofe incendiaria ancora afferma che la colpa è di chi non pulisce per bene rendendo pericoloso il territorio.
La brava gente ragiona così: siccome qualcun altro non ha fatto quello che io ritengo si debba fare io non rinuncio a fare quello che voglio fare anche a rischio di generare un problema irrisolvibile. Mi spiego meglio: uno ha il diritto a pretendere un sottobosco pulito, ma ha il dovere di non buttarvi, comunque, la cicca o non accendervi dei falò o di usare quello spazio come discarica. E “brava gente” è anche quella che genera incendi perché ha appena fatto la domanda come ausiliario dei Vigili del Fuoco. Di fronte alla tragedia in corso la “brava gente” sbraita, sa tutto quello che gli altri non hanno fatto. Tace, ben inteso, su quello che non ha fatto lei.
“Tutti colpevoli, tutti puniti”.
Nessun perdono.